ll Monastero Benedettino di Santa Croce

La Badia Benedettina del monte Santa Croce

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Descrizione

La Badia Benedettina del monte Santa Croce, in base alla ricostruzione fatta dal Sacerdote Dott.Giuseppe De Francesco, studioso e storico locale della prima metà del 1900, sarebbe stata fatta edificare dal Conte Landolfo nel breve arco di tempo che va dal 979 al 981. 
Il De Francesco giunge a tale conclusione mettendo a confronto due documenti di grande interesse storico, riportati nel 3° volume dei Regi Naepolitani Archivii Monumenta:
Il primo, datato 982, è un atto pubblico con cui Landolfo, Principe di Benevento e Conte di Capua, donava «... per l'anima mia, al Monastero di Santa Croce, sito sulla vetta del Monte Verna, nel territorio Caiatino...» la sua chiesa di S.Marco sita in contrada Cesarano (territorio nel comune di Caiazzo) con tutti i suoi terreni esistenti nella stessa Cesarano ed anche i possedimenti in località Cristianisi (antico villaggio sito nella parte sud di Piana di Monte Verna, dove era ed è tuttora ubicata la chiesa di S.Maria a Marciano, ricostruita nel 1330).
Il secondo documento, datato 985, è una Bolla di Stefano Menicillo (nominato Vescovo di Caiazzo nel 979 ed in seguito santificato) dove si accenna alla chiesa ed al monastero di Santa Croce dicendo che «...Landolfo, per amore verso Dio e per la salvezza dell'anima sua, costruì (una chiesa) dalle fondamenta e la chiamò Santa Croce in lode e gloria di N.S. Gesù Cristo; edificò poi (anche) il Monastero».
Per induzione (come lui stesso afferma), il De Francesco giunge alla conclusione che «... dato che della predetta chiesa, con l'annesso monastero, non vi è traccia alcuna nella celebre Bolla di Gerberto, arcivescovo di Capua, che reca la data del 979, dove pur sono enumerate tutte le chiese ed oratori della diocesi Caiatina, possiamo senz'altro affermare che detto Monastero fosse stato edificato nel brevissimo tempo che corre dal 979 al 982. Anzi, essendo il Conte Landolfo, già Principe di Benevento, successo al padre nella contea di Capua nel 981, non è improbabile che abbia egli edificato il Monastero di s.Croce proprio in quell'anno. Se infatti fosse stato eretto prima del 979 non avrebbe, l'Arcivescovo Gerberto, tralasciato di elencarlo perché, pur essendo sorto, come vedremo, col privilegio della indipendenza dalla giurisdizione vescovile, era sempre compreso nel territorio della Diocesi».
Con la costruzione del Monastero e la donazione dei citati possedimenti, il Conte Landolfo fece in modo che i frati fossero in grado di vivere di proprie rendite e di essere indipendenti dalla Diocesi di Caiazzo, nel cui tettitorio essi dimoravano. Tale indipendenza viene confermata nella bolla del Vescovo Stefano di cui si è detto, confermandone il patronato a Landonulfo, fratello del defunto Landolfo, divenuto nel frattempo Principe di Capua, e concedendo a lui ed ai suoi successori il singolare privilegio di nominare direttamente gli Abati del Monastero di Santa Croce. Oltre a ciò, Stefano dichiara espressamente di non avere alcun diritto di riscuotere imposte dai frati, né di poterli scomunicare o ammonire nei casi previsti dai Sacri Canoni. La Bolla, munita del sigillo della Diocesi, reca la firma del Vescovom di vari sacerdoti e di tutti i componenti del Capitolo cattedrale.


LA VITA DEL MONASTERO
Una descrizione fatta dal Parroco don Innocenzo Barbiero


Estremamente difficile è la ricostruzione della vita e delle attività che svolgevano i frati, in quanto tutti i documenti prodotti e conservati nel Monastero furono (come scrive nel 1619 Ottaviano Melchiori nella sua Descrittione dell'antichissima città di Caiazzo) trasmessi all'Archivio di Montecassino per tenerle più al sicuro. Qui, invece, andarono distrutti con moltissime altre scritture di estrema importanza, in un incendio verificatosi nella seconda metà del XVI secolo. 
E' facile, però, intuire che l'indipendenza e la protezione di cui godeva il Monastero abbia consentito ai Frati di condurre una vita feconda e ricca di attività nel campo artistico ed umanitario, tanto da poterlo considerare un faro di luce morale e di civiltà in un periodo di lotte e di servilismo causate dai conflitti dei grandi feudatari con la Chiesa di Roma.
Con la sua laboriosa ricerca, il De Francesco (rilevando la notizia dal 5° volume dei Regi Naepolitani Archivii Monumenta) accerta che nell'anno 1097, dopo oltre cento anni di vita autonoma, Riccardo II Principe di Capua, senza un particolare motivo, dona con un atto pubblico il Monastero di Santa Croce in perpetuo a Guarino, Abate del Monastero Benedettino di S.Lorenzo di Aversa.
Quest'ultima vicenda portò ad una serie di eventi e di conflitti di competenza sul Monastero che tralasciamo per occuparci dell'attività svolta dai frati.
Il De Francesco, pur non essendo riuscito a reperire tracce evidenti dell'opera dei frati di Santa Croce nel campo religioso e morale (che pure dovette essere notevole) riesce invece a documentare il loro vivo interessamento per l'arte pittorica.
Innanzitutto le trasformazioni che certamente essi apportarono alla Chiesa Badiale edificata dal Conte Landolfo (anche se impossibile desumerle dai ruderi ancora esistenti sulla vetta del monte Santa Croce) è facile immaginarle se riferite alle decorazioni che i frati fecero nella chiesa di Santa Maria a Marciano, un tempo alle loro dipendenze.
Difatti ancora oggi possono essere ammirati i numerosi affreschi del trecento e del quattrocento che adornano intere pareti della chiesetta gotica che, pur non essendo molto interessante dal punto di vista architettonico, è invece importantissima per la sua parte decorativa essendo l'unica chiesa, in tutta la Diocesi Caiatina, ad essere interamente affrescata con immagini di Santi che, mentre rilevano il culto locale, risentono nel contempo dell'influenza Benedettina.
Da ciò è facile desumere che, se i frati Benedettini non trascurarono di decorare una piccola chiesa di campagna che era alle loro dipendenze, come potevano non avere a cuore la cura della loro Bhiesa Badiale?
A dimostrazione di questo, De Francesco ricorda gli affreschi che, agli inizi del XX secolo, furono portati alla luce da una serie di scavi praticati nel sottosuolo della chiesa per ordine del Cav.De Angelis, Sindaco dell'allora Comune di Piana di Caiazzo (oggi Piana di Monte Verna). Tali affreschi furono in gran parte distrutti e gli scavi interamente ricoperti di pietre, forse da pastori ignoranti che magari temevano la chiusura di quel terreno dove portavano a pascolare i loro greggi.
Altri due documenti della loro attività artistica furono ritrovati tra i ruderi della badia. Si tratta di due bassorilievi rappresentanti, uno, il Cristo in Croce e, l'altro, probabilmente Santa Scolastica, la sorella di San Benesetto, presentano dei caratteri molto arcaici che eliminano ogni dubbio circa la loro autenticità e, mentre in un primo momento furono incastonati davanti al portale della chiesa parrocchiale della piccola frazione di Villa Santa Croce, ora, per sottrarli alle intemperie, si trovano ai lati dell'altare maggiore della stessa chiesa.
Altra importantissima testimonianza dell'attività artistica dei benedettini di Santa Croce è data dai numerosi ed antichissimi Libri Corali che il De Francesco dichiara essere depositati nella Cattedrale di Caiazzo, ultimi avanzi della fiorente Schola Cantorum di cui, fin dai tempi più remoti, l'ordine benedettino ha sempre vantato il primato, sia nella chiesa che del Mondo civile.


Tra Storia e Leggenda
IL MASSACRO DEI MONACI DEL MONASTERO  DI S.CROCE DEL MONTE VERNA
 
Una strana leggenda, che si tramanda da padre in figlio, si racconta a Villa S. Croce. 
Essa, con immagini proprie della fantasia popolare, narra il massacro dei monaci benedettini di Monte Verna 


Un giorno, quando Villa S.Croce ancora non esisteva e vi erano solo dei casolari sparsi di pastori sul colle Morrone, un monaco scese dal monte Verna a questuare. 
Sulla soglia di una casa trova una madre che con grande semplicità stava pettinando una figlia. La famiglia era numerosa. Il religioso, dopo aver ricevuto l'elemosina, chiese alla donna anche un capello della fanciulla, che era solita portare delle lunghe trecce. 
La padrona rimase quasi scandalizzata della strana richiesta e, rincasando con le ragazze, dice al monaco di attendere un pò; affacciandosi ancora, invece di dare al questuante un capello della ragazza, gli mette in mano un pelo sfilato da un setaccio (crivello, vaglio). 
Egli, ringraziando, va oltre. 
Di notte, quando tutti nella casa del pastore dormono saporitamente, il setaccio, staccandosi dal muro ove era appeso ad un chiodo, rotola sul pavimento. Il marito della donna, svegliandosi di soprassalto, si alza, accende il lume e appende il setaccio al suo posto, poi ritorna a letto.
Aveva appena preso sonno che l'utensile cade di nuovo; il padrone si alza e lo appende alla parete. Messosi a letto, per la terza volta il setaccio cade dal muro e rotola verso la porta.
Intanto anche la donna si era svegliata e, sentendo l'accaduto dal marito, si ricorda della visita avuta dal monaco il giorno prima e ne parla al marito. Il genitore, dopo aver svegliato i figli più grandi, prende scure e bastoni, apre la porta di casa e insieme ad essi, seguendo il setaccio che rotolava davanti a loro, sale al monastero di S. Croce. 
Qui giunti, il setaccio, picchiando violentemente alla porta del monastero, sveglia il monaco portinaio. Questi corre dal padre Priore dicendo: "mo' se ritira donnan Zuoccolo". Il superiore ordina di aprire; ma quale non fu la meraviglia del picuozzo nell'aprire la porta del monastero, invece di donnan Zuoccolo, si fecero avanti il setaccio e gli assassini. 
Il primo a cadere sotto i colpi degli omicidi fu il povero monaco portinaio, poi furono massacrati tutti gli altri abitanti del monastero. 
Arrivata la notizia all'autorità ecclesiastica, il vescovo di Caiazzo maledisse quella terra che aveva dato ospitalità ai malfattori. 
Alcuni anni dopo, dei pastori, in un campo presso la fontana del Bosco, ove allora erano delle pozzanghere in cui solevano abbeverare i loro greggi, trovarono che una pianta di meloni ne aveva uno di una eccezionale grandezza. I pastori, meravigliati, lo colgono e pensano di farne dono al Vescovo. Il prelato accettandolo dice: "sia benedetta quella terra che ti ha prodotto" e cosi fu tolta la maledizione comminata alcuni anni prima. 
Noi abbiamo riportato la leggenda, come semplici cronisti, così come ci viene raccontata dai nostri nonni; ma lasciamo giudicare al lettore intelligente se è possibile prestare una certa credibilità a quello che ci viene in essa narrato... 

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Pagina aggiornata il 26/08/2023